Inaugurazione sontuosa, ieri sera, nella Basilica di San Pietro, come merita una associazione che accompagna i nostri giorni con l’alta qualità della sua musica. Un motivo di più per stare vicini a quanti provvedono alla stesura di una piattaforma di concerti che scandiscono i ritmi di una continua evoluzione verso il meglio di quanto possa offrire la musica internazionale.
Con tutto quello che c’è di crisi in giro gli Amici della Musica si sono presi la soddisfazione di convocare nel monastero benedettino il loro pubblico per offrire ai tanti convenuti il piacere di ascoltare due complessi olandesi di collaudato rilievo professionale, il coro Cappella Amsterdam e l’orchestra del XVIII secolo. Relativamente giovane il primo che dal 1970 realizza produzioni in tutti gli ambiti della coralità, storicizzato negli annali della grande filologia il secondo, che dal 1981, sotto il rigore di Frans Brüggen scandaglia le profondità della musica settecentesca con ripescaggi che sono autentiche finestre che si aprono sul tempo.
Quasi tutta giovanile la formazione vocale, molti capelli grigi tra gli strumenti. E c’è chi, nella non piccola colonia di residenti olandesi nel territorio perugino, asserisce di avervi riconosciuto anche musicisti “fondatori”.
Il programma proposto, come si addice a una inaugurazione, era un solo blocco ed era costituito dal monolite delle Stagioni di Haydn. Occasione quindi più che rara di venir a contatto con una pagina emblematica del Settecento riformatore, un polittico dalla chiarezza e dalla trasparenza ammalianti.
Più che un trattato di storia le Stagioni di Haydn, che riflettono l’ottimismo naturalistico del secolo dei Lumi ci spiegano l’evoluzione del pensiero progressista, quello che dai tempi delle omologhe Stagioni di Vivaldi si allacciava al contesto economico della Fisiocrazia e vedeva nella natura una grande fonte di sostegno alimentare per una popolazione destinata a crescere, nonostante le guerre ricorrenti.
Con un occhio al kilometro zero uno le correnti filosofiche dei grandi moralisti inglesi, Lord Shaftesbury in particolare, Haydn, al pari di molti europei d’avanguardia, vede nello sfruttamento coerente della natura una coincidenza tra etica ed estetica- Ciò che è bello è anche buono se illuminato dall’occhio divino.
Magari sarebbe stato difficile per lui spiegarlo ai suoi vecchi padroni, i principi Estherazy, proprietari di servi della gleba e latifondisti di territori che si estendevano dalla periferia di Vienna all’Ungheria; ma ormai il servizio era terminato. Haydn era entrato nelle fila della libera Muratoria e un’assemblea di saggi, nobili inglesi, gli aveva conferito la laurea “honoris causa” ad Oxford, considerandolo pari tra i pari.
Era quindi un “uomo nuovo” quello che si rivolgeva a una natura che in quel 1801 veniva sconvolta ancora una volta dalle campagne napoleoniche. Ma, si sa, la terra è abituata a subire.
Con la mediazione del barone van Swieten, massone di rango e protettore di Mozart un poema originariamente steso in inglese da James Thomson diventava libretto per una narrazione che poneva l’uso della terra, l’agricoltura razionale, nelle mani di Dio e degli uomini.
E’ quanto abbiamo ripercorso ieri sera in una sessione di ascolto piuttosto ardua anche per i collaudati esegeti degli Amici della Musica. Suddividendo le Stagioni in due tronconi, con un bell’intervanno in mezzo, si è ovviato al peggio. E visto che siamo tutti moderni, un bel taglio ai recitativi non potrebbe che rendere più godibile il percorso. Sentirsi cadere addosso, con una prosodia che non convince neanche chi le canta, le descrizioni di qualcosa che oggidì è fuori del mondo, renderebbe più contestuale ciò che c’è veramente di bello, le arie, le cavatine e i magnifici cori.
Certo, ci vuole un coro eccezionale per sostenere le grandi scene d’insieme che, in particolare dall’Autunno, vedono i contadini affollarsi in gioiose assemblee, sia che esaltino l’ebbrezza del vino che l’esaltazione della caccia. Particolarmente pungente l’esecuzione, nell’Inverno, del dialogo delle filatrici e semplicemente magistrale la riproduzione coro-soprano della burla progettata dalla contadinella per sottrarsi alle attenzione del padrone, una sorta di Jeu de Robin et Marion con un pizzico di rivalsa degli umili verso i potenti. C’è da dire che la Cappella Amsterdam ha svolto il suo ruolo con una calore vocale e una perfezione ritmica a prova anche delle combinazioni polifoniche della suddivisione in “due cori” richiesta dal finale.
Tra i solisti ha brillato la voce di Ilse Eerens, affiancata dal tenore Marcel Beekmann e dal baritono André Morsch.
Dirigeva Marcus Creed, maestro con entusiasmo, plasticità e perfetta funzionalità. Dall’orchestra escono timbri bellissimi, in particolare nel putiferio dei corni che descrivo la caccia. Un oboe schiaccia qualche nota, ma forse voleva imitare il suono di strumenti villerecci.
Entusiasmo del pubblico per una esecuzione che si ricorderà con molto piacere.
Nessuna perplessità per Anna Calabro, presidente della Fondazione Perugia-Musica Classica. Anche questa annata di concerti sarà prodiga di frutti: Haydn ci ha insegnato che quando la semina è stata buona, i frutti sono dei migliori.
Stefano Ragni