Il garante regionale per i detenuti Stefano Anastasia ha messo nero su bianco i principali problemi del sistema carcerario umbro. Partendo dai numeri, il garante nota che benché «in Umbria la situazione è ancora relativamente sotto controllo», in prospettiva «non può che preoccupare, anche in considerazione della relativa stabilità delle risorse umane e materiali per far fronte alla ospitalità e al trattamento delle persone». L’analisi di Anastasia si ferma al dicembre 2017, quando nelle 4 carceri della regione (Perugia, Spoleto, Terni e Orvieto), erano ospitate 1.370 persone, numero lievitato al 31 agosto a quota 1.400, a fronte di una capienza regolamentare di 1.331.
Rilevata dunque la tendenza al sovraffollamento, scarse opportunità per il reinserimento e riorganizzazione delle articolazioni periferiche del Ministero della giustizia.
In 40 pagine il rapporto messo sul tavolo del consiglio regionale.
Stando ai dati del Ministero di pochi giorni fa a Perugia ci sono 410 detenuti a fronte di 363 posti e 454 a Terni per 411 posti; sotto controllo invece la situazione a Spoleto (452 persone per un massimo di 451) e a Orvieto (84 per 106 posti totali). In tutto quelli con una condanna definitiva sono 1.111 e gli ergastolani 109, in percentuale doppia (9,8%) rispetto alla media nazionale.
Sei detenuti su 10 invece scontano una pena tra i 5 e i 10 anni, il che significa che molti di essi potrebbero presto uscire per essere destinati a una delle misure alternative al carcere (in Umbria quasi 1.600 persone), che spesso si rivelano vincenti sul fronte del reinserimento sociale.
A Perugia, dove c’è l’unica sezione femminile della regione e dove in quella maschil sono ristretti detenuti nel circuito di media sicurezza, il numero di stranieri (63%) è abbondantemente superiore alla media nazionale (34%) e regionale. Qui c’è anche una carenza del personale di polizia penitenziaria (297 i previsti, 74 in meno gli effettivi) «cui presto, per effetto di prossimi pensionamenti si andrà ad aggiungere – nota Anastasia – una criticità anche tra i funzionari giuridico-pedagogici».
A Terni invece ci sono in prevalenza detenuti del circuito di alta sicurezza, e una sezione è riservata anche ai carcerati sottoposti al 41bis, cioè al carcere duro. Pure qui, come a Perugia, c’è carenza di personale (276 previsti e 219 effettivi). Anche a Spoleto, dove dal 2007 c’è un padiglione dedicato al 41bis, ci sono detenuti ad alta sicurezza mentre in un’altra sezione ci sono quelli comuni e altri appartenenti al regime protetto (vedi ad esempio reati sessuali o appartenenti alle forze dell’ordine); in generale, comunque, la popolazione è fatta di persone con pene definitive e lunghe. Tutt’altra situazione a Orvieto, dal 2014 trasformata in un Icat, ovvero in un Istituto a custodia attenuata dedicato a programmi intensivi di sostegno al reinserimento sociale.
Ma quali sono i problemi che vivono i detenuti?
Secondo quanto riferito nel corso dei colloqui con il garante, i principali riguardano le condizioni di detenzione e in particolare è la tutela del diritto alla salute «la criticità più rilevante» che accomuna tutte e quattro le carceri. «I detenuti – scrive Anastasia – lamentano eccessive liste di attesa per la sottoposizione a visite mediche specialistiche e a esami diagnostici, nonché un’inadeguatezza degli istituti rispetto alla cura di patologie gravi». Particolarmente preoccupanti vengono definiti i dati relativi ai Tso: per tre quarti delle persone sottoposte la degenza è stata superiore ai sette giorni fissati dalla legge come limite di validità del primo provvedimento (per due casi limite si è arrivati a 81 e 104 giorni). Altrettanto rilevante il problema dei rapporti con i familiari e il contesto sociale di riferimento, in particolare per i detenuti che hanno famiglie lontane, così come «scarsa qualità del cibo, inadeguatezza del vitto rispetto alle problematiche di salute, camere di pernottamento non idonee dal punto di vista igienico-sanitario». Molto spesso poi chi è rinchiuso vorrebbe avere un’opportunità di reinserimento.
Proprio la mancanza di attività di trattamento e reinserimento, come la possibilità di iscriversi a corsi di formazione oppure lavorare, è un altro dei problemi segnalati al garante. «In particolare – dice Anastasia – vanno segnalate le ripetuta richieste, ricevute anche dalle direzioni penitenziarie, affinché la Regione attivi corsi di formazione all’interno degli istituti penitenziari» (per il potenziamento dei percorsi di inclusione nel 2016/2017 sono stati destinati 1,2 milioni di euro per 157 persone) Da non sottovalutare poi la chiusura del Provveditorato umbro dell’Amministrazione penitenziaria, che «ha lasciato a lungo in una condizione di incertezza gli interlocutori territoriali». Risolti alcuni problemi organizzativi, sul tavolo «rimane però una discutibile pratica di intendere in maniera unitaria il bacino territoriale di riferimento», che ha come conseguenza «l’abuso del trasferimento fuori regione» di alcuni detenuti che hanno causato dei problemi di gestione, «con evidente violazione del principio di territorializzazione della pena». Inadeguati anche gli strumenti a disposizione del garante: un collaboratore volontario nel primo anno e mezzo di attività, mentre ora grazie a una convenzione con il Dipartimento di Giurisprudenza ci sarà la possibilità di contare sulle competenze della Clinica legale penitenziaria.