Un feto di pochissimi giorni, con già più che evidenti le caratteristiche della “specie” cui appartiene, ancora immerso nella protezione dell’utero materno, con gli occhi chiusi e le mani, piccolissime, già perfettamente delineate nelle sottilissime dita. Questo il soggetto rappresentato. Un’immagine che, di per sé non può certo contribuire a creare alcun tipo di turbamento e che, anzi, evoca un sentimento di tenerezza e fragilità, di aspettazione, di intimità.
E’ l’immagine di uno dei manifesti che sono stati lanciati in questi giorni in tutta Italia dall’associazione ProVita Onlus, da poco giunti anche a Perugia , a Marsciano e nei territori limitrofi, come campagna di sensibilizzazione delle coscienze, relativamente alla pratica dell’ interruzione volontaria della gravidanza.
A questa immagine è stato associato un testo pro-life, di questo tenore: “Tu eri così a 11 settimane…Tutti i tuoi organi erano presenti” , “ Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento” e “Già ti succhiavi il pollice”.
Salta subito agli occhi come non ci sia nulla di aggressivo, come le espressioni usate facciano riferimento semplicemente e volutamente a dati razionali e incontrovertibili, evidenziati dalla tecnologia e formulate dalla scienza medica.
Colpisce quindi ancor più e appare del tutto ingiustificato l’atto vandalico che nei giorni scorsi si è scatenato attorno a questa campagna pro-life, proprio all’interno del nostro territorio marscianese. C’è stato, infatti, chi si è sentito in diritto di strappare i manifesti, di sbarrare le immagini di oscurarle o mutilarle, ricoprendole di scritte sconce e piene di livore. E proprio questo vien voglia di comprendere: livore verso che cosa? Verso la vita naturale che in quelle immagini era rappresentata? Verso le persone che le hanno finanziate e diffuse? Perché questo accanimento? Tutto è certamente lecito a questo mondo, ma questo odio a che o a chi giova?
Certamente non alle donne che scelgono di abortire, donne che associazioni come ProVita Onlus sono le prime a riconoscere come vittime. Sofferenti, perché abortire fa male dentro e altri cartelli della campagna ricordano proprio questo, cioè che alcune donne in seguito ad interruzione volontaria di gravidanza hanno manifestato stati depressivi, ansiosi, proposito di suicidio. E il messaggio testuale in questo caso è stato “Donna, salva il tuo bambino e te stessa. Non abortire”. Il diritto di farsi del male non può essere in nessun caso una mera applicazione meccanica di un intervento medico risolutore, inquadrato a termine di legge, asettico e implacabile. Si tratta di annientamento di coscienze, di risvolti psicologici complessi, spesso inquietanti. Questi cartelli ci tornano a dire che le cose non stanno semplicemente così.
Perché dà così fastidio che si faccia presente una voce democratica nei tempi e nei modi, che sia divergente rispetto al diktat dominante e che lasci intravedere per tutte le donne, in difficoltà durante la gravidanza una possibilità “altra”. Un’altra verità, una via percorribile magari poco considerata, che conduca alla vita e all’accoglimento piuttosto che all’annientamento, fisico e ontologico, della donna e del suo bambino insieme?
Oggi, ci ricorda la campagna ProVita, non si tratta tanto di voler l’abbattimento della legge 194 che tutela per legge la possibilità di interrompere un percorso gestazionale, ma di sollecitare una riflessione attorno ad essa e a quel mondo che dietro ad essa viene chiamato in causa. La 194 può essere considerata fallita nel momento in cui non viene applicata bene, nel momento in cui viene distorta e trasformata in un’autostrada a senso unico verso l’interruzione della vita del nascituro; lo è nel momento in cui non si avvale di un utilizzo proficuo dei consultori che prevedono, per statuto, la necessità di realizzare o sollecitare da parte delle istituzioni del territorio, tutte le azioni possibili che possano servire a far rientrare le cause che spingono una donna ad una scelta così dolorosa. E’ fallita anche quando viene utilizzata come arma ideologica e politica, sbandierata come baluardo contro la pratica pericolosa e mortale dell’aborto clandestino mentre dall’altra si finge di non sapere che oggi l’aborto fai da te si è condensato e semmai sovrabbondantemente diffuso rispetto al passato attraverso l’assunzione delle pillole abortive. E’ che manca proprio, di fondo, un venerabile rispetto per la vita.
Chi strappa cartelloni e offende producendo ideologia a buon mercato, non sta lottando per i diritti delle donne, anzi si contrappone alla riflessione costruttiva sulla società che sta intorno ad esse, si rifiuta di comprendere che la complessità del problema dell’aborto non si semplifica attraverso l’esercizio di un diritto che vada loro rinfacciato e quasi imposto, ma si può positivamente attenuare attraverso la guida ad una scelta che contempli, come orizzonte di riferimento, la maggior salvaguardia possibile di tutti i beni coinvolti.
E’ un impegno di lunga durata che viene chiamato in causa, anche verso quegli elementi sociali legati al lavoro e all’economia, che oggi continuano ad essere limitanti per la donna e per la donna incinta in particolare. Impegno di cui tutti noi dovremmo dirci responsabili.
Questo impegno, nei soggetti che delinquono attraverso l’oscurantismo del legittimo pensiero altrui, non brilla certo in bella mostra di sé. Non promette, in sostanza, nulla di buono.
E ancor più dispiace quando questo atteggiamento vandalico risulta plausibilmente ispirato, speriamo involontariamente, da coloro che più lo dovrebbero prevenire o arginare e reprimere: le autorità. Dispiace infatti che, ancor prima dei fatti suddetti, il sindaco di Marsciano Alfio Todini, libero di esprimere la sua visione delle cose, si fosse rivolto nei confronti di questo impegno a favore della vita con espressioni come “emotivamente odioso” e “razionalmente inaccettabile” . Perché? Cosa è irrazionale di quanto mostrato in quelle scritte e in quelle immagini? Per il primo cittadino il modo della campagna risulta “becero e moralmente ricattatorio”, espressione di “tempi malati”, di “ritorno agli istinti primordiali”. E quali sarebbero questi ultimi? Quello di dire alle donne “Coraggio, forse non è così dura come ti sembra – o ti fanno sembrare- ! Forse c’è chi ti aiuta, forse puoi uscirne fuori senza dolore!” Questo? Non è più primordiale l’istinto con cui si chiude la bocca agli altri invece di lasciarli parlare pur senza condividerli? Ci sia consentita la franchezza verso chi sta leggendo: non è più primordiale scrivere “merde” su un cartellone con disegnato un bambino e posto di fronte ad un asilo? Non è più malato un tempo in cui le autorità istituzionali non notificano ai propri cittadini nessuna tempestiva e ben sensata presa di distanza da certi atteggiamenti vandalicamente censori? O almeno due righe di riprovazione su un social, se proprio la si vuole considerare una ragazzata? Cosa che sinceramente ci attendiamo, a breve. E non ci dispiace dire che non c’è alcuna “strumentalizzazione del dolore”, come dall’autorità cittadina viene scritto, fraintendendo le intenzioni di chi promuove certe sensibilizzazioni; inoltre, non ci sentiamo affatto cittadini “malati di ignoranza e intolleranza”, di “razzismo”, di “ritorni xenofobi”. Non pensiamo, sinceramente, di meritarci questa Apocalisse…anzi vorremmo prendere a prestito un’altra frase rivolta dal sindaco, con tono paradossale ed esagerato, all’iniziativa di Pro Vita: “C’è davvero bisogno di arrivare a tanto per manifestare un’idea”? In questo caso, quella del suo dissenso.
Comunque, non tutto il male viene per nuocere: certo è che se un bimbo non nato, rappresentato su un cartellone, è riuscito a far uscir allo scoperto reazioni così violente e insulse, a smascherare un’intolleranza così democraticamente insostenibile, allora ci sentiamo di dire che a Marsciano, di fronte agli occhi di tanti e speriamo soprattutto di tante, la campagna ProVita è davvero servita a qualcosa.
Comitato Difendiamo i nostri figli
referente Luciana Spoleti