di Bruno Di Pilla – Accattivante, il sorriso di Confucio. Fedele agli insegnamenti del celebre Maestro, basati sull’armonia universale e sulla politica dell’approccio benevolo verso lo straniero, la Cina mira, in punta di piedi, alla conquista del mondo. Ha uomini, soldi, armi ed una struttura verticistica che non ammette dissensi. Come suggeriva il filosofo 2.500 anni fa, lo Stato viene assimilato ad una grande famiglia ed il Presidente, sulle orme degli imperatori delle prime dinastie post feudali Qin e Han, è ancor oggi padre e madre dei cittadini-sudditi. Retto da principi rigidamente gerarchici, il Dragone avanza implacabile nei Continenti e più nessuno, in Patria ed all’estero, osa ricordare i moti rivoltosi di Piazza Tienanmen, soffocati nel sangue dai carri armati nel 1989.
Ora tanti Paesi, prima critici ed ostili, corteggiano Pechino e solo gli USA, intimoriti dalla formidabile crescita degli eredi di Mao, digrignano i denti, erigendo barriere doganali per arginarne il dumping ed ammonendo, con indispensabile discrezione, gli alleati del Patto Atlantico, Italia compresa. Ardua, la strategia dissuasiva statunitense. Sedotte dalla dirompente forza economica della Cina, che non solo costruisce infrastrutture nei malconci Stati balcanici, africani e sudamericani, ma offre anche terapie d’urto e “vaccini” miliardari a chi è afflitto da un insostenibile debito pubblico, molte Nazioni europee vacillano e sono tentate di cedere parte della propria sovranità su porti, aerostazioni, fonti energetiche, telecomunicazioni ed altre essenziali attività imprenditoriali.
La nuova via della seta, pur essendo un’imperdibile opportunità commerciale per interscambi tra lontane aree geografiche, apre inesplorati scenari planetari. Né va dimenticata l’abile mossa diplomatica di Pechino verso la Chiesa Cattolica. Sotterrata l’ascia di guerra nei rapporti con il Vaticano, il partito comunista ha mollato la presa sulla nomina di vescovi e prelati, concedendo al Pontefice di Roma ampia libertà di manovra. Un ulteriore successo della politica del sorriso?