Alex Sbirrazzuoli – L' “ondata” di cinesi verso l’Europa e – per quanto ci riguarda – verso l’Italia era stata prevista da tempo ma non nella misura che si registra oggi.
Secondo dati che si riferiscono ad un rilevamento dello scorso anno (“Fondazione Leone Moresca” studio sul “fenomeno cinesi” in casa nostra), i cinesi in Italia sarebbero oltre 300 mila (8,1% della popolazione straniera complessiva) , in buona posizione per avvicinarsi al podio delle presenze straniere nello stivale; la presenza cinese – stando a tali dati – rappresenterebbe l’8,1% della popolazione straniera complessiva. L’attenzione su questa imponente presenza nel nostro paese è stata sollecitata di recente anche dalla tragedia di Prato dove lavoratori orientali sono morti per un incendio scoppiato nella fabbrica nella quale lavoravano e nella quale vivevano come schiavi, ristretti in loculi di pochissimi metri.
In Umbria le presenze cinesi ammonterebbero a duemila unità e rappresentano l’1,9% del totale degli stranieri. Le maggiori presenze si registrano in provincia di Perugia, dove i cinesi hanno aperto ristoranti, magazzini di oggetti prodotti in Cina e anche altrove, dove hanno acquistato la proprietà di molti caffè-bar, e di diversi appartamenti. probabilmente per ospitarvi connazionali che starebbero per arrivare: probilmente una nuova “ondata”.
Le cronache – anche di questi giorni – ci dicono che sparsi in diverse zone della regione ci sono laboratori o vere fabbriche di proprietà cinese, e in molti dei quali (come scoperto anche di recente dalla Guardia di Finanza) i lavoratori sono tenuti in condizioni pessime, sia per i tempi di lavoro ai quali sono sottoposti, sia per la remunerazione che ricevono che è a livello di una elemosina, sia poi per le condizioni nelle quali questi lavoratori devono vivere, costretti a non lasciare la fabbrica ed a dormire in ambienti malsani all’interno della fabbrica stessa.
Da segnalare invece l’“interessante” presenza di studenti cinesi iscritti all’Università italiana per Stranieri dove imparano la lingua (sono assolutamente ricettivi e imparano in poco tempo) e qui ricevono anche elementi di storia e cultura italiana. Nel biennio 2008/2009 erano 532 su una popolazione studentesca di 991 unità. l’ anno successivo c’ è stato un incremento ( 630 cinesi su 1.068 studenti); e nel biennio 2011-2012 sono stati 581 su un totale di 896; adesso, con i progetti Marco Polo e Turandot ,sono previsti altri 650 arrivi.
Il gruppo di cinesi “regolari” a Perugia città è pari a 800 elementi, e rappresentano la seconda comunità orientale: in provincia la comunità cinese più numeros è quella dell’ Alto Tevere: qui ne risiedono circa 200 e una cinquantina nel folignate.
Dal punto di vista lavorativo, secondo i dati della Camera di commercio di Perugia, risulta che, nonostante che la maggioranza dei cinesi siano lavoratori subordinati (lavorano per altri cinesi), il numero di imprenditori si è moltiplicato; dal III trimestre del 2005, quando c’ erano 157 presenze imprenditoriali. al 2011 quando il dato registrato era addirittura di 372 imprenditori orientali.
Fra loro prevale la classe di età compresa tra i 30 e i 49 anni 290, segue quella 18-29, (54. Unità). La forma giuridica più gettonata è l’impresa individuale 265, seguita da società di persone, 76, e di capitale, 31. La maggioranza delle imprese è in provincia di Perugia: 292 unità (117 nel 2005), 80 a Terni (40 nel 2005). In provincia di Terni i numeri sono considerevolmente più bassi: più o meno il dato orbita intorno alle 250 unità. Ma cosa vengono realmente a fare in Italia i cinesi? “A lavorare”, dicono gli esperti di immigrazione, perché questa è la caratteristica tipica di questo popolo, e cioé produrre per sopravvivere e reinvestire. Si può notare basandosi sul numero di negozi “made in China” che hanno popolato le strade umbre, un vettore di guadagni collettivi che mette in risalto l’ operosità di questa gente. A volte accade – come si è segnalato – che qualche cinese si renda protagonista di episodi di cronaca, per via di evasione, contraffazione o lavoro in condizioni igienico sanitarie insufficienti, in molti casi si tratta di immigrati cinesi irregolari, ovvero quelli che si distinguono – anche per come vivono – dai loro compatrioti quelli perfettamente integrati in molti settori.
A conferma di quanto detto, basti sapere che, in termini di percentuale, un cinese su cinque è imprenditore: per il 2009, il Dossier Caritas Migrantes rilevava un tasso di imprenditorialità pari al 15% dei residenti, in netto vantaggio sulle altre popolazioni straniere. Nel 2010 il 56,9% dei titolari d’impresa stranieri in Italia era riconducibile a soli 4 paesi di provenienza, la Cina in quell’ occasione si piazzò al terzo posto con il 14,7%, alle spalle del Marocco (16,4%) e della Romania (15,3%), un vero e proprio testa a testa in una forbice inferiore ai 2 punti percentuali. La capacità principale dei commercianti cinesi è quella di avviare attività a basso costo, traendo margini di profitto sufficientemente alti da garantire una buona sopravvivenza di impresa grazie a qualche “taglio” in fase di produzione. Il settore dove i cinesi si mettono maggiormente in luce è il manifatturiero, dove la loro presenza è pari al 62,8% , in particolare nel tessile e nell’abbigliamento.
Chi sono i cinesi di casa nostra? Dal punto di vista demografico, le comunità sparse in Umbria e nel resto della Penisola, sono piuttosto omogenee, a fronte di una componente femminile pari al 48,9%. e quella maschile al 51,1%. A livello nazionale i cinesi risultano più numerosi nelle province di Milano (24 mila), Firenze (14 mila), Roma e Prato (13 mila), ma l’incidenza maggiore sul totale della popolazione straniera si registra a Prato con un netto 39%. I soggetti regolari, hanno quindi anche l’ opportunità di entrare a far parte della nostra società, acquisendo il diritto di mandare a scuola i propri figli, ed è propro qui, tra i banchi di scuola, che troviamo 32 mila studenti la cui concentrazione è maggiore nelle primarie.
I nati con cittadinanza cinese nel 2010 in Italia erano 5.154, di cui il 22,4% è nato in Lombardia, il 15,3% in Emilia Romagna, il 14,9% in Veneto e il 12,0% in Piemonte. Esulando dai confini umbri, la panoramica nazionale conta circa 56 mila imprenditori cinesi, che costituiscono il 9,5% del totale degli imprenditori stranieri attivi nel “Bel Paese”. La voce “commercio all’ingrosso e al dettaglio” ferma l’ ago sul 40,0%, il settore della ristorazione è al 20,4%, mentre il manifatturiero al 30,3%. Gli imprenditori cinesi sono soprattutto uomini (93197), le “quote rosa” tengono testa: si parlerebbe infatti di ben 64.175 imprenditrici in terra italiana.